Sala delle Baleari
Tre magnifici affreschi del Seicento ornano le pareti di questa Sala di Palazzo Gambacorti, uno degli ‘interni’ più familiari ai Pisani, dove quotidianamente si amministra la vita della città e con frequenza si svolgono manifestazioni pubbliche.
Dando le spalle alla finestra, si può ammirare di fronte a sé la conquista di Gerusalemme nella Prima Crociata, a sinistra l’impresa contro la Sardegna e a destra la vittoria sulle Baleari del 1113-1115, l’ultimo grande sforzo militare della città nel Mediterraneo islamico.
Viste dalla prospettiva di un Pisano del Seicento queste tre “vittorie” potevano sembrare altrettante tappe di una gloriosa espansione: in realtà ciascuna impresa rispose ad esigenze e a spinte diverse. L’eliminazione dalla Sardegna del re saraceno Muğāhid (condotta insieme a Genova all’inizo del XI secolo) rispose principalmente al bisogno di eliminare una pericolosa minaccia che si era installata nel cuore del Tirreno e in un isola, la Sardegna, che stava diventando molto importante nel circuito degli scambi e nel reperimento di alcune materie prime.
La presa di Gerusalemme, lo sappiamo, fa parte di un evento molto più grande e complesso, quello della prima crociata, a cui Pisa partecipò probabilmente più per interessi politici che economici. Non a caso il suo arcivescovo, Daiberto, fu nominato primo patriarca della Gerusalemme liberata.
Le Baleari, infine inaugurarono un’intensa stagione di espansione di Pisa nell’area provenzale-catalana, che si stava trasformando proprio all’inizio del XII secolo in uno snodo commerciale importantissimo tra il Mediterraneo occidentale e il nord della Francia. Certamente la scelta dell’obiettivo non fu casuale: arcipelago posto in posizione strategica a metà strada tra la Spagna islamica e l’Europa cristiana, le Baleari erano un luogo ben noto e ambito dai mercanti italiani, provenzali e catalani. Infatti quella che Pisa guidò nel 1113 fu una vera e propria coalizione internazionale, benedetta dal papa, che compredeva flotte e armati del conte di Barcellona e di Provenza e di numerose città del Midi: Arles, Montpellier, Saint-Gilles, Narbonne, Arles, Béziers e Nîmes.
L’impresa fu lunga, dispendiosa e impegnativa, come ci raccontano ben due poemi latini dell’epoca, i Gesta Triumphalia e il Liber Maiorichinus. Delle tante vicende, assalti e battaglie, esortazioni e preghiere, accordi e tradimenti che si verificarono in oltre due anni, l’affresco si limita tuttavia a narrare solo l’atto finale, in cui rendono omaggio alla città di Pisa – raffigurata come una regina sul trono – due eccezionali prede di guerra: a sinistra Abu Rabi, noto anche come re Burrabe, «catturato e posto in catene e condotto a Pisa prigioniero per la gloria dei Pisani» e poi liberato in occasione della Pasqua e, ai piedi della città, una donna con accanto il figlio. È la nipote del re al-Murtada, l’emiro dell’epigrafe araba di S. Sisto, e la moglie del re in catene. Costei, «con un fratello e un figlioletto, venne spontaneamente a Pisa con l’esercito pisano e ivi, rinunziando al paganesimo, prese con il suo piccolo figlio un nome cristiano».
La storia della regina di Maiorca, preda di guerra convertita, il cui epitafio si trova esposto sulla facciata del duomo, chiuse l’epopea delle imprese militari pisane anti-islamiche. Non perché la città si fosse indebolita: al contrario, alla metà del XII secolo Pisa, aveva forse raggiunto l’apice della sua potenza mediterranea. In realtà l’ultima grande vittoria di Pisa sui Saraceni delle Baleari, inaugurò per Pisa una nuova stagione caratterizzata da azioni forse meno “gloriose” e poco adatte ad essere cantate in poemi epici, ma certamente più lucrose e generalmente pacifiche, caratterizzate da contatti commerciali intensi, dalla creazione di fondachi e colonie, dall’invio di missioni diplomatiche e lettere e di un’intensa circolazione di persone e di conoscenze.
Pisa parve rendersi conto che rivestire il ruolo di tutore dei cristiani nel Mediterraneo non le portava più buoni frutti, anzi in qualche caso poteva risultare dannoso rispetto a quanto riusciva invece a ottenenere con la diplomazia e i commerci.
Non sappiamo ancora come il ceto dirigente pisano sia arrivato a questa conclusione. Sta di fatto che terminò bruscamente negli anni ’30 del XII secolo ogni produzione poetica tesa a esaltare Pisa come seconda Roma e a fare da cassa di risonanza dell’idea di crociata; contemporaneamente si moltiplicarono i trattati col i regni del mondo islamico posti lungo il Mediterraneo.
A dipingere i due affreschi dell’impresa sarda e delle Baleari fu chiamato nel 1693 da Cosimo III de’ Medici Giacomo Farelli, un pittore romano, molto attivo a Napoli, la cui opera pisana è stata sottoposta a un recente restauro. L’affresco della presa di Gerusalemme è invece attribuito a Pier Dandini.