Le epigrafi del Duomo
Legata al mare da un rapporto più che millenario, Pisa raggiunse l’apice della potenza nei secoli centrali del Medioevo, che la consacrarono come repubblica marinara: un ruolo ricordato dalla regata che la città sull’Arno disputa ogni anno, in giugno, con Amalfi, Genova e Venezia.
L’inizio dell’espansione mediterranea di Pisa risale alla seconda metà del X secolo, con una politica più aggressiva e intraprendente che la trasformò ben presto in grande potenza marittima. Per difendere le coste del Tirreno e del Mediterraneo occidentale dagli attacchi musulmani provenienti dalle isole tirreniche e dal nord Africa, i Pisani avviarono spedizioni contro le loro basi principali; e in poco più di un secolo, tra il 1005 e il 1115, riportarono vittorie decisive sui Saraceni di Reggio Calabria, di Sardegna e di Bona nell’Africa settentrionale, espugnarono Palermo in Sicilia e gli empori africani di al-Mahdiya e Zawila. Nel 1098 parteciparono alla prima Crociata per la liberazione di Gerusalemme. Infine nel 1115, dopo due anni d’assedio, conclusero vittoriosamente la spedizione balearica espugnando Maiorca. Chiusa la stagione delle azioni militari, Pisa passò alle trattative diplomatiche e agli accordi commerciali, che produssero fondamentali influssi anche sul piano artistico e culturale.
Il ricordo di quelle imprese fu scolpito nelle epigrafi apposte sui principali monumenti cittadini e narrato da poemi epici. E la Cattedrale rappresentò lo spazio privilegiato – religioso e civile insieme – per esibire, agli occhi del mondo, fama e potenza: sulle pareti esterne, ornate di losanghe policrome di derivazione araba, pezzi di reimpiego provenienti da monumenti di età romana esaltavano la grandezza di Pisa come «altra Roma», e sul culmine del tetto spiccava l’enigmatico grifone bronzeo di fattura islamica ora nel Museo dell’Opera (al suo posto una copia), forse giunto a Pisa col bottino dalle Baleari. In facciata, ad accogliere chi giungeva da Nord per la via Aurelia, fu incastonato un gruppo d’iscrizioni in versi, notevoli sotto il profilo storico e letterario.
Nella prima arcata cieca di sinistra, sotto il sarcofago di Buschetto, architetto della cattedrale, fa bella mostra l’epigrafe delle imprese. Tutto l’orgoglio della città per le vittorie traspare nel proemio che precede la narrazione dei fatti:
Chi s’impegna a lodarti secondo il tuo merito, o Pisa,
si affanna a sottrarre alla tua lode ciò che le spetta.
Alle tue lodi, o illustre città, basta quella tua lode,
che nessuno è in grado di riferire di te secondo il tuo merito.
Il successo non dubbio delle imprese e anzi propizio
ti ha procurato una posizione di eccellenza davanti a tutte le località:
poiché così grande risplendi che chi tenta di narrare di te,
oppresso dalla materia, verrà subito meno.
Per tacere il resto, chi potrà degnamente riferire gli eventi
Che ti accaddero nel tempo passato?
Tre date scandiscono il testo successivo – due espresse secondo lo stile pisano, che anticipa di un’unità l’anno comune – introducendo le imprese compiute.
Sessantamila (numero iperbolico che amplificava il peso dell’impresa) furono i Saraceni di Sicilia sopraffatti nel 1005 a Reggio dai Pisani, decisi a vendicare le devastazioni subite nelle proprie terre; oltre lo stretto Messina assisteva impotente:
Nell’anno dell’Incarnazione 1006
Sessantamila Siciliani, abbattuti con forza,
mentre vogliono prevalere, cadono vinti.
E infatti la gente siciliana, desiderosa di distruggere il tuo nome,
ti raggiunse per devastare il tuo territorio:
perciò, fortemente addolorata, non indugiasti
a seguirli nei propri confini.
Messina testimonia le tue gesta,
lei che con dolore li vide tutti perire.
La seconda impresa ci porta in Sardegna dove Pisani e Genovesi effettuarono due spedizioni (nel 1015 e nel 1016) per scacciare Mudjahid, insigne personaggio arabo che, dopo aver fondato il regno di Denia e delle Baleari, aveva occupato l’isola tirrenica. Un’impresa conclusa con il pieno successo, coronato dalla cattura di un figlio e di una moglie del sovrano:
Nell’anno dell’Incarnazione 1016
Imprese più grandi compisti poi, o illustre città,
quando, vinta dalla tua straordinaria potenza,
a gente dei Saraceni perì senza lode dei suoi:
di ciò la Sardegna ti sarà sempre debitrice.
L’ultimo avvenimento è la vittoria del 1034 sui Musulmani di Bona in Africa (l’antica Ippona, ora Annaba in Algeria), voluta dal cielo. L’allusione alla vendetta fa pensare a una spedizione punitiva, ma le fonti tacciono su precedenti aggressioni di parte saracena:
Nell’anno dell’Incarnazione 1034
La terza parte del mondo, l’Africa, vide i tuoi simboli del trionfo,
di te che eri guidata dal Re dei Cieli.
Infatti, chiedendo a buon diritto di vendicarti,
la città di Bona fu vinta, presa dalla tua forza.
Si noti infine, nell’angolo superiore destro della lastra, una piccola lapide che celebra la bellezza della cattedrale («quanto egregiamente, quanto splendidamente s’innalza non lontano dalla città») e attribuisce ai cittadini il merito della costruzione, al tempo del vescovo Guido da Pavia.
L’arcata cieca a sinistra della porta maggiore, ospita un’altra grande lastra marmorea che spicca per eleganza esteriore e per importanza del testo. Essa rievoca un episodio centrale nella storia di Pisa: l’incursione della flotta pisana nel porto di Palermo, che fruttò ricche prede usate per finanziare la costruzione della cattedrale.
Tutto avvenne quando già erano trascorsi mille e sessantatre anni dalla nascita di Cristo, ossia nel 1064, data in cui i Pisani avviarono la costruzione della cattedrale. Sospinti da una forza che li predestinava al successo tutti gli uomini atti alle armi – maiores, medii pariterque minores, come recita il latino del testo – salparono verso Palermo:
Dall’anno in cui Cristo nacque dalla Vergine
ne erano trascorsi 1063,
i cittadini pisani, potenti per fama e valore,
è noto che gettarono le fondamenta di questa chiesa,
nell’anno che vide la spedizione alle coste sicule,
in cui in armi, salpati con flotta numerosa,
tutti, dai maggiori ai medi ai minori,
scelsero, guidati dal fato, come prima meta Palermo.
Il testo entra poi nel vivo del racconto, rievocando in rapida successione i momenti epici dell’impresa:
Entrati nel porto, dopo aver spezzato combattendo la catena,
catturano sei navi, grandi e colme di ricchezze,
vendendone una e bruciando prima le altre,
somma con cui è noto come questi muri sia stati innalzati.
Segue la fase finale:
Allontanatisi poi di lì e raggiunta la terraferma,
là dove il corso di un fiume raggiunge il mare ad oriente,
subito [appare] un folto gruppo di cavalieri accompagnato da una schiera di fanti,
[i Pisani] si armano e lasciano la flotta,
attaccano senza indugio i nemici furiosi,
ma il primo assalto, mutando il caso la sorte,
rese questi vincitori, spinse quelli alla fuga.
Questi cittadini, colpendoli con dolorose ferite,
ne uccisero davanti alle porte molte migliaia
e subito tornati indietro, piantano le tende sulla costa,
devastando tutt’intorno col ferro e col fuoco.
Vittoriosi, lasciando i vinti dopo aver compiuto una tale strage,
incolumi tornarono a Pisa con grande trionfo.