Epigrafe della Porta Aurea - Pisa e Islam

Epigrafe della Porta Aurea

A chiudere la stagione delle spedizioni militari fu l’impresa che i Pisani, al fianco di altri Toscani, Provenzali e Catalani, condussero nel 1113-1115 contro i Saraceni delle Baleari, sotto la guida del vescovo di Pisa Pietro. La città aveva trepidato due anni prima di accogliere trionfalmente i vincitori, reduci dal lungo assedio di Maiorca; e ancora una volta volle fissare nella pietra la memoria del successo, con i versi di un’iscrizione ora murata sulla facciata della chiesa dei Galletti ma in origine posta sulla Porta Aurea, allora principale accesso urbano, verso cui da S. Cristina – superato un ponte – confluiva la viabilità maggiore del territorio meridionale e convergeva il traffico fluviale.

A quel tempo la pianta di Pisa differiva molto dall’attuale: di dimensioni assai ridotte, Pisa non era ancora la ‘città sul fiume’ che conosciamo oggi, con le due sponde unite dal grande anello dei lungarni, bensì ‘città tra due fiumi’, con l’Auser (poi scomparso) che la chiudeva a Nord e l’Arno a Sud, insieme con un muro di difesa. Qui si apriva appunto la Porta Aurea, affacciata sull’Arno, fiume che nell’impresa delle Baleari svolse un ruolo di primo piano durante i preparativi per la partenza e poi al ritorno.

Un poema esametri dattilici, il Liber Maiorichinus, composto da un canonico della cattedrale pisana di nome Enrico che all’impresa partecipò, ha trasmesso il racconto veritiero dei fatti e dei personaggi protagonisti.
Così l’autore descrisse il fermento per allestire la grande flotta salpata nel 1113, il 6 agosto, festività di S. Sisto e giorno propizio – come abbiamo visto – per le vittorie pisane.

Le rive del fiume si trasformarono in un immenso cantiere:

Allora finalmente Pisa risuonò di così grande frastuono di asce,
che tu non potresti udire nemmeno i grandi tuoni.
Tutto quel che di alberi di bosco ebbe la Corsica,
o di pece, allora viene portato via per gli innumerevoli usi navali,
le selve di Luni sono private della loro parte migliore
e Corvaia rimane spoglia a causa del taglio degli alberi.
Le antenne che sostengono le vele e il supporto ligneo dello scafo
che deve reggerle li fornì l’alto Mugello.
Ogni bosco viene tagliato, e quanto è abbattuto discende verso i corsi d’acqua.

Si costruivano imbarcazioni di vario tipo:

gatti, dromoni, garabi e veloci galee,
barche, corvi, scialuppe e le grosse sagene
idonee ai diversi usi necessari:
Qui vengono imbarcati i cavalli, alcune sono atte a caricare vettovaglie,
altre, enormi, possono trasportare le truppe,
le più piccole sono adatte per i servizi e possono essere usate per questo.
Esse non hanno difficoltà a raggiungere le rive vicine,
e portano i rifornimenti d’acqua e traghettano gli uomini.

Tra queste le navi da guerra – le galee – pronte a volare sulle onde del mare, sospinte dal vigore dei giovani rematori:

Le cinghie di cuoio degli scalmi delle galee sono fatte per i muscoli dei giovani.
Cento remi spingono ognuna di queste,
cento remi che, in doppio ordine, si librano sulla distesa del mare
e, fendendo i flutti, fuggono e s’inseguono,
come veloci capriole e uccelli, per superare con corso veloce
i volatili attraverso l’ondoso mare.

E si allestivano anche mezzi da assedio, una specialità che dava fama ai Pisani in tutto il Mediterraneo:

[…] torri, ponti e scale
con cui le schiere possano assalire le alte muraglie difensive;
[…] macchine da assedio
atte a scagliare entro le mura grossi massi, che scuotono e distruggono le case;
[…] la balista minacciosa, l’ariete e la testuggine.

Accanto ai carpentieri lavoravano i fabbri per forgiare armi e armature e gli artigiani per decorarle:

Nemmeno i fabbri sono inerti: tutto il ferro è consumato
[…]
Né mancano gli altri mestieri: i colori dipingono le armi,
gli elmi risplendono, brillano gli scudi e le selle
e risplende l’oro distesovi sopra, insieme con le gemme.

Sulle acque dell’Arno la flotta, una volta allestita, si mise in movimento diretta verso la foce del fiume e verso il mare aperto, salutata da chi restava in patria:

Ormai stava sorgendo il giorno della solennità di San Sisto
in cui i Pisani ogni anno con lodi votive
commemorano i trionfi riportati in guerra sulle genti africane,
quando sulle acque dell’Arno si mise in movimento una numerosa flotta,
e le imbarcazioni convennero tutte alla angusta foce
del fiume limaccioso […].
Intanto, mentre le navi s’allontanano, le madri innalzano pianti sulla riva
[…];
un padre s’immerge fino al petto nelle acque trasparenti come vetro
e[…] con amorevoli parole benedice il figlio.
Sulla riva, chi invoca l’aiuto divino per il padre
e chi per i fratelli e i mariti innalza alti lamenti.

Da quella partenza trascorsero due lunghi anni di trepidazione e d’attesa; fino a quando, risalendo l’Arno, la flotta tornò in patria dopo la fausta conclusione dell’impresa, sbarcando gli eroi delle Baleari in prossimità della Porta Aurea, trasformata in arco di trionfo per i vincitori. E Pisa volle cantarli con i versi incisi nell’epigrafe, che sembrano rivolgersi ad un ipotetico passante per tessere l’elogio esteso a tutta la città: una città speciale per le imprese militari combattute in difesa degli oppressi, degna di essere considerata onore dell’impero per il suo impegno nell’imporre il rispetto delle regole della convivenza tra i popoli:

Questa porta è chiamata aurea perché ne è riservato l’accesso ai cittadini che si sono distinti:
così vuole l’onore dovuto alle nobili imprese.
Sappiate che questa città è l’ornamento dell’impero,
perché è suo costume colpire le crudeli cervici dei malvagi.
La rabbiosa aggressività della maggiore delle Baleari, Maiorca, era divenuta insopportabile:
per questo essa ed Ibiza, pure vinta, sperimentarono quale fosse la sua potenza.
Erano trascorsi millecentoquindici anni
Da quando la Vergine Maria concepì Dio,
allorché il vittorioso popolo di Pisa le vinse ambedue.
E di questo fa fede la duplice strage.

La composizione si chiude con la citazione di un monito della Bibbia, perciò d’ispirazione divina:

Ponete al di sopra di tutto la giustizia voi cui è dato il potere di giudicare i popoli.